Inquisizione Medievale:
Stregoneria e Supertizione -
Μεσαιωνική Ιερά Εξέταση: Μαγεία και δεισιδαιμονία
L’Inquisizione Medievale è stato
sempre uno dei temi più discussi in ambito storiografico. Per comprendere la
realtà normativa del periodo – e la frequente dicotomia tra quest’ultima e la
prassi – è fondamentale l’apporto degli storici del diritto. Il Prof. Mario
Ascheri è uno dei maggiori esperti in questo campo, specie per quanto riguarda
le cose senesi e toscane. Nel suo libro “Introduzione Storica Al Diritto
Moderno E Contemporaneo“, pubblicato nel 2003, il Prof. Ascheri fa delle
considerazioni molto interessanti. Le condividiamo con voi, in modo integrale,
qui sotto:
Nel Decretum grazianeo, a cominciare
dal famoso c. Episcopi, è facile leggere, a posteriori, prudenza e repressione
moderata d’un fenomeno (quello della stregoneria) in gran parte sfumante
nell’ignoranza e nella superstizione, eredità di subculture pagane: in passato,
però, quegli stessi passi ebbero letture ben differenziate. Nel Liber Extra,
poi, si distingue nettamente, trattandone in due distinti titoli, tra eresia e
magia, la quale ultima fa capolino sotto la rubrica De Sortilegis. Si tratta
solo di tre capitoli, che da un lato vietano le divinationes e, in particolare,
di ricorrere alla sors e all’astrolabio per ritrovare cose rubate; dall’altro,
l’uso del sorteggio nelle procedure elettorali per giungere a designare il
candidato al soglio episcopale – nella specie quello lucchese.
Il Concordia discordantium canonum,
noto come Decretum Gratiani, è la compilazione fondamentale delle fonti di
diritto canonico redatta dal monaco Graziano tra il 1140 e il 1142. Assieme ad
alcune raccolte posteriori, costituirà il nerbo del Corpus Iuris Canonici del
1582. Il menzionato Liber Extra, pubblicato da Gregorio IX nel 1234,
rappresenta proprio una di queste raccolte. Le altre sono il Liber Sextus di
Bonifacio VIII (1298), le Clementinae (1317), le Extravagantes Johannis XII
(1325) e le Extravagantes communes inserite da Jean Chappuis nell’edizione
parigina del Corpus Iuris di fine XV secolo. Ovviamente, il titolo
“extravagantes” sta proprio a significare il fatto che quelle norme si
trovavano al di fuori di Decretum-Liber Extra-Liber Sextus-Clementinae.
Come si vede, la magia è quasi
ignorata. Sono piuttosto i tempi, nel Duecento, delle vaste repressioni
ereticali. Gli inquisitori sono all’opera in accordo, non sempre facile, con le
consuete corti episcopali. A metà del secolo, almeno in un caso, però,
l’Inquisizione deve essere stata troppo solerte. Una bolla inviata a tutti gli
inquisitori da Alessandro IV ricordava che essi non dovevano occuparsi d’altro
che del negotium fidei, cioè della peste dell’eresia, e lasciare ai giudici
ordinari – oltre alle questioni di usura – divinazioni e sortilegi.
Ma il papa poneva un inciso molto
importante: la competenza degli inquisitori si sarebbe accesa laddove quelle
pratiche heresim saperent manifeste, ossia avessero traboccato nell’eresia. La
decretale veniva accolta nel Liber Sextus e la Glossa precisava alcune ipotesi,
interpretando il “manifeste” nel senso che quindi in dubbio gli inquisitori non
dovessero godere di alcuna giurisdizione sui casi di stregoneria.
Sono, com’è noto per il Sextus, gli
anni dei gravissimi conflitti di Filippo il Bello con il Papato e le
organizzazioni ecclesiastiche. E in Italia? Se il consilium attribuito a
Bartolo di Sassoferrato (mulier striga) è stato ritenuto “il più antico documento
italiano che ci testimonia un vero processo contro le streghe” è chiaro che
saranno necessarie più accurate ricerche bibliografiche prima ancora che
archivistiche. Già sono stati segnalati processi perugini interessanti in
qualche modo la stregoneria per gli anni 1247, 1258, 1263, ed è stato ricordato
come lo statuto perugino del 1279, forse sulla scorta del Liber Extra, distinguesse
tra eretici e maliardi.
A Siena, dove nel 1232 il vescovo
aveva imposto ai suoi ecclesiastici di non fare divinationes, nel 1236 veniva
condannata una donna edotta da una “indovina” a fare un’immagine di cera perchè
il suo figliastro fosse ammaliato e “stelmaretur”. Si noti la pena: di 50 lire
ma, se non fosse stata pagata entro 15 giorni, la donna doveva essere scopetur (dileggiata
pubblicamente) e bandita per sempre anche dal contado.
Nello statuto del 1262 si nota un
aggravamento. L’aborto con malia e il poculum (pozione) amatorio, mortifero o
odioso sono puniti con 200 lire, applicandosi la pena prevista per l’omicidio
se non si salda la multa. A Pistoia, nel 1250, nella curia del podestà, quando
si condannò una donna di servizio che malleficiavit il padrone per renderlo
impotente ai rapporti con la moglie, la condanna era stata di 200 lire.
Con il primo Trecento, comunque, si
ha l’impressione di una svolta, anche se la normativa ecclesiastica di Firenze
e Fiesole, ad esempio, stabiliva ancora solo la scomunica per gli autori di
sortilegi, maleficia, incantamenta et brevia. Le accuse a Bonifacio VIII e il
processo ai Templari però segnarono un’epoca. Non solo per la sfida al papato,
ma anche per il tipo di accuse infamanti che vennero elaborate. Tuttavia, papa
Clemente V, alla fine costretto ad accettare l’imposizione di Filippo, nella
sua raccolta si occupò di eresia, ma non di stregoneria.
Le Clementinae, infatti,
intensificarono la lotta contro l’eresia, ma imponendo comunque la
collaborazione tra vescovi e inquisitori. E anche in modo troppo tradizionale
se finirono per suscitare le recriminazioni di un Bernardo Gui. Con Giovanni
XXII, papa avignonese, cambia il clima. Basterà pensare all’uso disinvolto del
processo politico con le accuse più ampie e indiscriminate che caratterizzarono
i suoi anni: celebri contro i ghibellini e in particolare contro il signore di
Milano, Matteo Visconti, a proposito del quale in processo si disse che avrebbe
sottoposto una statuetta del papa a fumi caldi, in modo da sciogliervi le
essenze che vi erano dentro. Il papa stesso, da esperto di scienze occulte,
vedeva incantesimi ovunque, in curia e fuori, e chiedeva ai dotti di essere
illuminato.
L’ossessione lo portò, nel 1320, a
prevedere che l’inquisitore di Carcassone e Tolosa potesse fino a nuovo ordine
occuparsi anche di pratiche magiche e di divinazioni, pur senza recedere però
dal concorso dei vescovi, richieste appunto dalle Clementinae. Quale che sia
stata l’applicazione del provvedimento, dovette essere locale o di breve
durata, a giudicare dalle preziose informazioni che provengono, pochi anni
dopo, da un consilium di Oldrado da Ponte (m.1335), celebre professore
universitario molto apprezzato dal Petrarca, ormai sotto la protezione del papa
operante in curia ad Avignone, ove sarebbe divenuto anche giudice di Rota.
Ebbene, un certo “Johannes de
Partimano” era stato captus et infatuatus amore cuiusdam mulieris (preso da
amore per una donna), e doveva aver preparato pocula amatoria et ymagines
(pozioni e immagini d’amore), naturalmente ad finem libidinis exercende (a fini
libidinosi). Il suo caso fu assegnato dal papa a due uditori, e dal consilium
si capisce che la questione verteva appunto sul problema se si fosse in uno dei
casi di stregoneria che heresim sapiant manifeste (manifestamente tendenti
all’eresia), tali da far scattare la competenza dell’Inquisizione. Interessante
notare che, in presenza del dubbio, non fu la stessa Inquisizione a giudicare
della propria competenza e, a quanto tramanda una postilla in calce al
consilium, gli argomenti addotti da Oldrado convinsero che si trattava
piuttosto di superstizione e di follia amorosa, per cui il nostro Giovanni poté
andare libero.
Caso simile, di un parroco che con
sortilegi si voleva assicurare i favori di una terziaria francescana a Pistoia
nel 1330, porta invece alla condanna vescovile alla prigione a tempo
indeterminato. Intervento provvidenziale, quindi, quello di Oldrado, come quando
potè salvare un dottore accusato di eresia secondo quanto risulta da un passo
di Alberico da Rosciate. Cominciava infatti a essere difficile parlare
liberamente in difesa degli inquisiti. Oldrado rivela che un inquisitore
lombardo accusava di eresia un dottore per aver disputato in iure una questione
di eresia, durante la quale con i suoi studenti per divertimento si era detto
solatiemus et caudeamus, quia nihil habet Deus de nobis facere (divertiamoci
perché Dio non si occupa certo di noi!). Il dottore si difese appunto
sostenendo che non poteva presumersi eretico, dacché aveva parlato iocose (per
scherzo). Oldrado lo salvò sostenendo che era solo una disputatio in iure, come
in Dig. 34.9.24, laddove il figlio non invalida il testamento paterno.
Comunque, il primo consilium di
Oldrado, come un altro suo in tema di alchimia – fondamentale per la
distinzione tra pratiche lecite e illecite – divennero dei classici, spesso
citati nel Medioevo per additare le cautele da impiegarsi in questi casi.
Classici, anche perché non sembra abbia avuto una vasta diffusione e
accettazione, nella prassi, un’altra bolla di Giovanni XXII, oggi sempre
ricordata e alla base di infinite semplificazioni storiografiche. Si tratta
della Super illius specula, risalente al 1326/27, bolla che viene regolarmente
letta come fondamento del potere inquisitorio in ogni fattispecie di
stregoneria. In realtà, questo edictum che si vorrebbe in perpetuum valiturum
(valido per sempre), condanna i patti con il demonio per ricavarne responsi e la
realizzazione di desideri, oltreché l’insegnamento di tali arti, disponendo il
rogo dei libri relativi ad esse.
Ma poi, riprendendo tradizionali
orientamenti canonistici, la pena comminata è la scomunica ipso facto se entro
8 giorni dall’ammonizione non ci si corregge.
Quando si giunge alla presunta “parificazione”, questa riguarda soltanto
le pene, peraltro non specificate (oltre alla confisca dei beni), perché subito
dopo si precisa: per suos competentes iudices procedatur (si proceda da parte
dei giudici competenti). Insomma, questo provvedimento non innova proprio nulla
quanto alla competenza dei giudici. Peraltro, la Super illius specula non solo
non entrò per ovvi motivi cronologici nelle raccolte di Extravagantes che
portano il nome di Giovanni XXII, ma neppure in quella, più tarda, delle
Extravagantes communes, poi incluse nel Corpus Iuris Canonici.
In più, la Super illius specula
sembra sconosciuta al primo vero trattato giuridico sull’Inquisizione, ossia
quello scritto intorno al 1330 da Zanchino Ugolini, un giurista di Rimini
operante dell’entourage dell’inquisitore di Romagna. Anch’egli ricorda magia e
sortilegi, naturalmente, come aveva fatto Bernardo Gui, ma ad esempio
sottolinea la competenza dei vescovi, ricordando una “stravagante” di Bonifacio
VIII, la Inter Cunctas, e non accenna alla bolla di Giovanni XXII. La Super
Illius Specula – che il vescovo di Novara del famoso consilium bartoliano
avrebbe dovuto conoscere – probabilmente fu messa in circolazione reale solo
dal più informato e aggiornato trattato sull’Inquisizione, quello che diverrà
un classico solo nel ‘500, con l’edizione romana del 1578 arricchita delle note
di Francisco Peña, ossia il già ricordato Directorium inquisitorum
dell’Eymerich, risalente al 1376.
La
Prassi
Nel caso di Firenze si è rilevata
l’assenza di processi durante il periodo “popolare” della città, nei decenni
centrali del trecento, e successivamente la scarsità di condanne, fino alla
metà del ‘400, comunque tutte provenienti dal giudice laico. Solo in un caso fu
l’Inquisizione a chiedere (nel 1384) l’esecuzione della condanna contro un
personaggio che per più anni aveva dato del filo da torcere all’organizzazione
ecclesiastica – sfuggendo ad esempio per ben otto anni alla cattura.
Altri studiosi hanno avuto modo di
dimostrare per lo stesso periodo – fatto metodologicamente assai importante –
il divario esistente tra il diritto e la prassi nel processo dell’Inquisizione.
In generale, erano rare condanne al rogo, mentre erano frequenti le multe
pecuniarie per eresia e malie – come avvenne da parte di un inquisitore in
conflitto con la Signoria fiorentina e la Camera apostolica, e a sua volta
inquisito per aver indegnamente usato i propri poteri.
Un sondaggio per Siena dà queste
indicazioni. Lo statuto vigente per gran parte del ‘300 non prevedeva questo
reato, a differenza di quello duecentesco e di quello successivo, del 1545, e a
differenza di quanto avveniva a Perugia. può voler dire che si volesse
l’applicazione del diritto romano che, come ricorda il presunto Bartolo,
prevedeva le massime pene? O che quei casi fossero senz’altro rimessi ai
tribunali ecclesiastici?
Vediamo
qualche caso.
Nel 1361 l’inquisitore di Toscana,
un francescano,, condannò un cappellano di origine corsa che andava in giro
adorando il diavolo, svelando il futuro e facendo malie ad habendum mulieres
con la formula: “Così arda il cuore di Monna cotale, come fa questo pepe et
questo sale nel mio amore”. Faceva anche immagini di cera, frittelle di erbe e
così via, il solito repertorio. Bene: egli abiurò e ricevette varie penitenze,
tra cui la più grave fu di stare nel carcere comunale fino a che piacesse
all’inquisitore.
Nello stesso anno un Vieri, ritenuto
colpevole per aver confezionato intrugli cosiddetti medicinali con il consiglio
del diavolo, venne condannato: la pena fu il pellegrinaggio a Roma e
l’elemosina di 7 fiorini per i poveri. In data non precisata, ma in questo giro
d’anni, un bestemmiatore che inseriva affermazioni eretiche nelle sue
imprecazioni, ebbe come pena il carcere comunale per qualche mese; ad esso
doveva far seguito il pellegrinaggio a Roma portando un cappello con la scritta
“de clara et legibili lictera, credo in unum Deum patrem omnipotentem”. Un caso
più o meno coevo (1375) a Reggio Emilia contro una fattucchiera si svolse
dinanzi al vicario del podestà: una tal Cabrina ne ebbe il taglio della lingua
e il marchio d’infamia.
Ancora più interessante un caso del
1383, di nuovo senese, in cui l’inquisitore chiese l’intervento del Comune
perché un inquisito accusato di malie, proveniente da un paesino, era difeso
dai cittadini armati contrari alla sua condanna. L’inquisitore chiarì che
questa volta almeno, data la gravità del fatto – perché c’era stata l’ampia
diffusione di un libro in 70 capitoli prestato e fatto trascrivere – vorrebbe
una pena esemplare. L’inciso della sua richiesta dice tutto: “benché l’usanza e
la ragion altre volte plecta quelli che sono inquisiti de pena pecuniaria”. La
consuetudine aveva abrogato il terribile diritto penale romano!
Nel quadro di ricostruzione
d’assieme si è potuto sostenere che il ruolo dell’Inquisizione era stato
sopravvalutato sul piano storiografico e che i processi in massa del Trecento
indicati da certe fonti – false, come quelle “bartoliane” – in realtà non avevano
mai avuto luogo.
L’Inquisizione Medievale aveva
dunque un interesse del tutto marginale nei confronti della stregoneria e delle
divinazioni, ritenendole più appartenenti alla sfera della superstizione che a
quella religiosa. La “competenza” della Chiesa si manifestava solo nel caso in
cui le pratiche “magiche” sfociassero in affermazioni eretiche.
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