Κυριακή 18 Οκτωβρίου 2020

Inquisizione Medievale: Stregoneria e Supertizione - Μεσαιωνική Ιερά Εξέταση: Μαγεία και δεισιδαιμονία



Inquisizione Medievale: Stregoneria e SupertizioneΜεσαιωνική Ιερά Εξέταση: Μαγεία και δεισιδαιμονία

L’Inquisizione Medievale è stato sempre uno dei temi più discussi in ambito storiografico. Per comprendere la realtà normativa del periodo – e la frequente dicotomia tra quest’ultima e la prassi – è fondamentale l’apporto degli storici del diritto. Il Prof. Mario Ascheri è uno dei maggiori esperti in questo campo, specie per quanto riguarda le cose senesi e toscane. Nel suo libro “Introduzione Storica Al Diritto Moderno E Contemporaneo“, pubblicato nel 2003, il Prof. Ascheri fa delle considerazioni molto interessanti. Le condividiamo con voi, in modo integrale, qui sotto:
Nel Decretum grazianeo, a cominciare dal famoso c. Episcopi, è facile leggere, a posteriori, prudenza e repressione moderata d’un fenomeno (quello della stregoneria) in gran parte sfumante nell’ignoranza e nella superstizione, eredità di subculture pagane: in passato, però, quegli stessi passi ebbero letture ben differenziate. Nel Liber Extra, poi, si distingue nettamente, trattandone in due distinti titoli, tra eresia e magia, la quale ultima fa capolino sotto la rubrica De Sortilegis. Si tratta solo di tre capitoli, che da un lato vietano le divinationes e, in particolare, di ricorrere alla sors e all’astrolabio per ritrovare cose rubate; dall’altro, l’uso del sorteggio nelle procedure elettorali per giungere a designare il candidato al soglio episcopale – nella specie quello lucchese.
Il Concordia discordantium canonum, noto come Decretum Gratiani, è la compilazione fondamentale delle fonti di diritto canonico redatta dal monaco Graziano tra il 1140 e il 1142. Assieme ad alcune raccolte posteriori, costituirà il nerbo del Corpus Iuris Canonici del 1582. Il menzionato Liber Extra, pubblicato da Gregorio IX nel 1234, rappresenta proprio una di queste raccolte. Le altre sono il Liber Sextus di Bonifacio VIII (1298), le Clementinae (1317), le Extravagantes Johannis XII (1325) e le Extravagantes communes inserite da Jean Chappuis nell’edizione parigina del Corpus Iuris di fine XV secolo. Ovviamente, il titolo “extravagantes” sta proprio a significare il fatto che quelle norme si trovavano al di fuori di Decretum-Liber Extra-Liber Sextus-Clementinae.
Come si vede, la magia è quasi ignorata. Sono piuttosto i tempi, nel Duecento, delle vaste repressioni ereticali. Gli inquisitori sono all’opera in accordo, non sempre facile, con le consuete corti episcopali. A metà del secolo, almeno in un caso, però, l’Inquisizione deve essere stata troppo solerte. Una bolla inviata a tutti gli inquisitori da Alessandro IV ricordava che essi non dovevano occuparsi d’altro che del negotium fidei, cioè della peste dell’eresia, e lasciare ai giudici ordinari – oltre alle questioni di usura – divinazioni e sortilegi.
Ma il papa poneva un inciso molto importante: la competenza degli inquisitori si sarebbe accesa laddove quelle pratiche heresim saperent manifeste, ossia avessero traboccato nell’eresia. La decretale veniva accolta nel Liber Sextus e la Glossa precisava alcune ipotesi, interpretando il “manifeste” nel senso che quindi in dubbio gli inquisitori non dovessero godere di alcuna giurisdizione sui casi di stregoneria.
Sono, com’è noto per il Sextus, gli anni dei gravissimi conflitti di Filippo il Bello con il Papato e le organizzazioni ecclesiastiche. E in Italia? Se il consilium attribuito a Bartolo di Sassoferrato (mulier striga) è stato ritenuto “il più antico documento italiano che ci testimonia un vero processo contro le streghe” è chiaro che saranno necessarie più accurate ricerche bibliografiche prima ancora che archivistiche. Già sono stati segnalati processi perugini interessanti in qualche modo la stregoneria per gli anni 1247, 1258, 1263, ed è stato ricordato come lo statuto perugino del 1279, forse sulla scorta del Liber Extra, distinguesse tra eretici e maliardi.
A Siena, dove nel 1232 il vescovo aveva imposto ai suoi ecclesiastici di non fare divinationes, nel 1236 veniva condannata una donna edotta da una “indovina” a fare un’immagine di cera perchè il suo figliastro fosse ammaliato e “stelmaretur”. Si noti la pena: di 50 lire ma, se non fosse stata pagata entro 15 giorni, la donna doveva essere scopetur (dileggiata pubblicamente) e bandita per sempre anche dal contado.
Nello statuto del 1262 si nota un aggravamento. L’aborto con malia e il poculum (pozione) amatorio, mortifero o odioso sono puniti con 200 lire, applicandosi la pena prevista per l’omicidio se non si salda la multa. A Pistoia, nel 1250, nella curia del podestà, quando si condannò una donna di servizio che malleficiavit il padrone per renderlo impotente ai rapporti con la moglie, la condanna era stata di 200 lire.
Con il primo Trecento, comunque, si ha l’impressione di una svolta, anche se la normativa ecclesiastica di Firenze e Fiesole, ad esempio, stabiliva ancora solo la scomunica per gli autori di sortilegi, maleficia, incantamenta et brevia. Le accuse a Bonifacio VIII e il processo ai Templari però segnarono un’epoca. Non solo per la sfida al papato, ma anche per il tipo di accuse infamanti che vennero elaborate. Tuttavia, papa Clemente V, alla fine costretto ad accettare l’imposizione di Filippo, nella sua raccolta si occupò di eresia, ma non di stregoneria.
Le Clementinae, infatti, intensificarono la lotta contro l’eresia, ma imponendo comunque la collaborazione tra vescovi e inquisitori. E anche in modo troppo tradizionale se finirono per suscitare le recriminazioni di un Bernardo Gui. Con Giovanni XXII, papa avignonese, cambia il clima. Basterà pensare all’uso disinvolto del processo politico con le accuse più ampie e indiscriminate che caratterizzarono i suoi anni: celebri contro i ghibellini e in particolare contro il signore di Milano, Matteo Visconti, a proposito del quale in processo si disse che avrebbe sottoposto una statuetta del papa a fumi caldi, in modo da sciogliervi le essenze che vi erano dentro. Il papa stesso, da esperto di scienze occulte, vedeva incantesimi ovunque, in curia e fuori, e chiedeva ai dotti di essere illuminato.
L’ossessione lo portò, nel 1320, a prevedere che l’inquisitore di Carcassone e Tolosa potesse fino a nuovo ordine occuparsi anche di pratiche magiche e di divinazioni, pur senza recedere però dal concorso dei vescovi, richieste appunto dalle Clementinae. Quale che sia stata l’applicazione del provvedimento, dovette essere locale o di breve durata, a giudicare dalle preziose informazioni che provengono, pochi anni dopo, da un consilium di Oldrado da Ponte (m.1335), celebre professore universitario molto apprezzato dal Petrarca, ormai sotto la protezione del papa operante in curia ad Avignone, ove sarebbe divenuto anche giudice di Rota.
Ebbene, un certo “Johannes de Partimano” era stato captus et infatuatus amore cuiusdam mulieris (preso da amore per una donna), e doveva aver preparato pocula amatoria et ymagines (pozioni e immagini d’amore), naturalmente ad finem libidinis exercende (a fini libidinosi). Il suo caso fu assegnato dal papa a due uditori, e dal consilium si capisce che la questione verteva appunto sul problema se si fosse in uno dei casi di stregoneria che heresim sapiant manifeste (manifestamente tendenti all’eresia), tali da far scattare la competenza dell’Inquisizione. Interessante notare che, in presenza del dubbio, non fu la stessa Inquisizione a giudicare della propria competenza e, a quanto tramanda una postilla in calce al consilium, gli argomenti addotti da Oldrado convinsero che si trattava piuttosto di superstizione e di follia amorosa, per cui il nostro Giovanni poté andare libero.
Caso simile, di un parroco che con sortilegi si voleva assicurare i favori di una terziaria francescana a Pistoia nel 1330, porta invece alla condanna vescovile alla prigione a tempo indeterminato. Intervento provvidenziale, quindi, quello di Oldrado, come quando potè salvare un dottore accusato di eresia secondo quanto risulta da un passo di Alberico da Rosciate. Cominciava infatti a essere difficile parlare liberamente in difesa degli inquisiti. Oldrado rivela che un inquisitore lombardo accusava di eresia un dottore per aver disputato in iure una questione di eresia, durante la quale con i suoi studenti per divertimento si era detto solatiemus et caudeamus, quia nihil habet Deus de nobis facere (divertiamoci perché Dio non si occupa certo di noi!). Il dottore si difese appunto sostenendo che non poteva presumersi eretico, dacché aveva parlato iocose (per scherzo). Oldrado lo salvò sostenendo che era solo una disputatio in iure, come in Dig. 34.9.24, laddove il figlio non invalida il testamento paterno.
Comunque, il primo consilium di Oldrado, come un altro suo in tema di alchimia – fondamentale per la distinzione tra pratiche lecite e illecite – divennero dei classici, spesso citati nel Medioevo per additare le cautele da impiegarsi in questi casi. Classici, anche perché non sembra abbia avuto una vasta diffusione e accettazione, nella prassi, un’altra bolla di Giovanni XXII, oggi sempre ricordata e alla base di infinite semplificazioni storiografiche. Si tratta della Super illius specula, risalente al 1326/27, bolla che viene regolarmente letta come fondamento del potere inquisitorio in ogni fattispecie di stregoneria. In realtà, questo edictum che si vorrebbe in perpetuum valiturum (valido per sempre), condanna i patti con il demonio per ricavarne responsi e la realizzazione di desideri, oltreché l’insegnamento di tali arti, disponendo il rogo dei libri relativi ad esse.
Ma poi, riprendendo tradizionali orientamenti canonistici, la pena comminata è la scomunica ipso facto se entro 8 giorni dall’ammonizione non ci si corregge.  Quando si giunge alla presunta “parificazione”, questa riguarda soltanto le pene, peraltro non specificate (oltre alla confisca dei beni), perché subito dopo si precisa: per suos competentes iudices procedatur (si proceda da parte dei giudici competenti). Insomma, questo provvedimento non innova proprio nulla quanto alla competenza dei giudici. Peraltro, la Super illius specula non solo non entrò per ovvi motivi cronologici nelle raccolte di Extravagantes che portano il nome di Giovanni XXII, ma neppure in quella, più tarda, delle Extravagantes communes, poi incluse nel Corpus Iuris Canonici.
In più, la Super illius specula sembra sconosciuta al primo vero trattato giuridico sull’Inquisizione, ossia quello scritto intorno al 1330 da Zanchino Ugolini, un giurista di Rimini operante dell’entourage dell’inquisitore di Romagna. Anch’egli ricorda magia e sortilegi, naturalmente, come aveva fatto Bernardo Gui, ma ad esempio sottolinea la competenza dei vescovi, ricordando una “stravagante” di Bonifacio VIII, la Inter Cunctas, e non accenna alla bolla di Giovanni XXII. La Super Illius Specula – che il vescovo di Novara del famoso consilium bartoliano avrebbe dovuto conoscere – probabilmente fu messa in circolazione reale solo dal più informato e aggiornato trattato sull’Inquisizione, quello che diverrà un classico solo nel ‘500, con l’edizione romana del 1578 arricchita delle note di Francisco Peña, ossia il già ricordato Directorium inquisitorum dell’Eymerich, risalente al 1376.
La Prassi
Nel caso di Firenze si è rilevata l’assenza di processi durante il periodo “popolare” della città, nei decenni centrali del trecento, e successivamente la scarsità di condanne, fino alla metà del ‘400, comunque tutte provenienti dal giudice laico. Solo in un caso fu l’Inquisizione a chiedere (nel 1384) l’esecuzione della condanna contro un personaggio che per più anni aveva dato del filo da torcere all’organizzazione ecclesiastica – sfuggendo ad esempio per ben otto anni alla cattura.
Altri studiosi hanno avuto modo di dimostrare per lo stesso periodo – fatto metodologicamente assai importante – il divario esistente tra il diritto e la prassi nel processo dell’Inquisizione. In generale, erano rare condanne al rogo, mentre erano frequenti le multe pecuniarie per eresia e malie – come avvenne da parte di un inquisitore in conflitto con la Signoria fiorentina e la Camera apostolica, e a sua volta inquisito per aver indegnamente usato i propri poteri.
Un sondaggio per Siena dà queste indicazioni. Lo statuto vigente per gran parte del ‘300 non prevedeva questo reato, a differenza di quello duecentesco e di quello successivo, del 1545, e a differenza di quanto avveniva a Perugia. può voler dire che si volesse l’applicazione del diritto romano che, come ricorda il presunto Bartolo, prevedeva le massime pene? O che quei casi fossero senz’altro rimessi ai tribunali ecclesiastici?
Vediamo qualche caso.
Nel 1361 l’inquisitore di Toscana, un francescano,, condannò un cappellano di origine corsa che andava in giro adorando il diavolo, svelando il futuro e facendo malie ad habendum mulieres con la formula: “Così arda il cuore di Monna cotale, come fa questo pepe et questo sale nel mio amore”. Faceva anche immagini di cera, frittelle di erbe e così via, il solito repertorio. Bene: egli abiurò e ricevette varie penitenze, tra cui la più grave fu di stare nel carcere comunale fino a che piacesse all’inquisitore.
Nello stesso anno un Vieri, ritenuto colpevole per aver confezionato intrugli cosiddetti medicinali con il consiglio del diavolo, venne condannato: la pena fu il pellegrinaggio a Roma e l’elemosina di 7 fiorini per i poveri. In data non precisata, ma in questo giro d’anni, un bestemmiatore che inseriva affermazioni eretiche nelle sue imprecazioni, ebbe come pena il carcere comunale per qualche mese; ad esso doveva far seguito il pellegrinaggio a Roma portando un cappello con la scritta “de clara et legibili lictera, credo in unum Deum patrem omnipotentem”. Un caso più o meno coevo (1375) a Reggio Emilia contro una fattucchiera si svolse dinanzi al vicario del podestà: una tal Cabrina ne ebbe il taglio della lingua e il marchio d’infamia.
Ancora più interessante un caso del 1383, di nuovo senese, in cui l’inquisitore chiese l’intervento del Comune perché un inquisito accusato di malie, proveniente da un paesino, era difeso dai cittadini armati contrari alla sua condanna. L’inquisitore chiarì che questa volta almeno, data la gravità del fatto – perché c’era stata l’ampia diffusione di un libro in 70 capitoli prestato e fatto trascrivere – vorrebbe una pena esemplare. L’inciso della sua richiesta dice tutto: “benché l’usanza e la ragion altre volte plecta quelli che sono inquisiti de pena pecuniaria”. La consuetudine aveva abrogato il terribile diritto penale romano!
Nel quadro di ricostruzione d’assieme si è potuto sostenere che il ruolo dell’Inquisizione era stato sopravvalutato sul piano storiografico e che i processi in massa del Trecento indicati da certe fonti – false, come quelle “bartoliane” – in realtà non avevano mai avuto luogo.
L’Inquisizione Medievale aveva dunque un interesse del tutto marginale nei confronti della stregoneria e delle divinazioni, ritenendole più appartenenti alla sfera della superstizione che a quella religiosa. La “competenza” della Chiesa si manifestava solo nel caso in cui le pratiche “magiche” sfociassero in affermazioni eretiche.
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