Pisa e
gli Arabi: il
Mito di Kinzica
(1005) - Η Πίζα και οι Άραβες : ο μύθος της Kinzica (1005)
Pisa e gli Arabi. Un contrasto
andato avanti per molti decenni e all’origine di un mito, quello di Kinzica,
che vive ancora oggi.
Stretto tra migliaia di volumi dedicati (giustamente) a Genova e Venezia,
l’approfondimento storico sulle fortune marinare di Pisa ha sempre stentato a
raggiungere le ampie platee che meriterebbe. Eppure Pisa è rimasta, per lungo
tempo, la potenza militare e commerciale più consistente del Tirreno. Prima di
dedicarci agli anni di fuoco che videro Pisa opporsi all’invasione araba della
Sardegna, è bene seguire le vicende della città toscana a partire dalla fine
del VI secolo, quando le masnade longobarde (tema rilevante anche ai fini di
Kinzica) occupano buona parte della penisola.
Per quanto riguarda l’egemonia longobarda su Pisa, alcuni storici pensano
che Pisa abbia comunque mantenuto i suoi organi governativi. Certo è che, nel
603, la città toscana è ben conosciuta per la sua forza marittima ed è
schierata con i Longobardi contro l’Esarca di Costantinopoli. In quell’anno, riceve
addirittura la visita di un messo di Gregorio Magno, inviato per cercare la
pace tra Greci e Longobardi. La lettera di Gregorio Magno (Epist. 35. Smaragdo
patricio et Exarco) che ci comunica questo dettaglio recita:
“Abbiamo
mandato un inviato nostro a Pisa, il più indicato a trattare una pace o una
tregua con i Pisani, ma non abbiamo ottenuto nulla. I Pisani usciranno a breve
con i loro dromoni per attaccare i sudditi dell’Imperatore”.
Il pericolo maggiore per le navi pisane, inizialmente rappresentato dalle
navi greche, diventa, tra il settimo e il nono secolo, l’espansionismo
islamico. Dopo aver messo in ginocchio l’impero d’oriente e distrutto quello
sasanide, gli Arabi rompono la continuità istituzionale e religiosa del
Mediterraneo, che, dopo quasi mille anni, cessa di essere il Mare Nostrum.
Quando anche Cartagine e la costa Nordafricana cadono in mano degli Arabi, le
coste italiane diventano una loro terra di preda. Per Pisa, il pericolo
maggiore arriva però dagli Arabi che, all’inizio dell’ottavo secolo, hanno
conquistato buona parte della penisola iberica.
Carlo Magno è uno dei sovrani più interessati alla costituzione di una
marina forte, in grado di contrastare i Saraceni e commerciare con la costa
opposta del Mediterraneo. Attorno all’800 (gli Annali Pisani riportano l’801 e
il Fanucci il 782), un’ambasciata araba raggiunge il Porto Pisano, ma non vi
trova Carlo Magno, già spostatosi a Genova. Lì riesce a ricevere gli Arabi, che
gli fanno dono di merci preziose ed esotiche (e portano anche l’immancabile
elefante).
pisa e gli arabi tavola
peutingeriana
Pisa nella Tavola Peutingeriana. Molto interessate il dettaglio di
Corsica e Sardegna.
Il potere di Pisa sul Tirreno cresce
in modo consistente tra l’VIII e l’inizio del IX secolo. Il suo rapporto con le
flotte islamiche (uso questo termine, in modo improprio, per parlare allo
stesso tempo di arabi mediorientali, arabi e berberi nord-africani e arabi
spagnoli) diventa sempre più di aperto scontro. Analogamente a quanto accade
con Amalfi (cui Pisa è, dal punto di vista commerciale, molto legata), gli
Arabi sono spesso apprezzati partner dal punto di vista commerciale, ma da
quello istituzionale e militare diventano ben presto i nemici più temuti.
A partire dalla fine del VII secolo, i primi pirati arabi raggiungono le
coste sarde, e mettono a sacco varie città e villaggi costieri per buona parte
dell’VIII secolo. Posta geograficamente a poca distanza da Pisa, la Sardegna
rappresenta uno snodo importante per le navi pisane, ma gli Arabi rendono sempre
meno sicura la navigazione e spingono diversi centri abitati dell’isola a
spostarsi verso l’interno.
Dopo aver sostenuto scontri in mare e subito diverse razzie (non a caso,
il termine razzia deriva dall’arabo “ghaziyya”) costiere, i Pisani sono forse la
prima forza europea a immaginare una vendetta clamorosa. Nell’828, a un secolo
circa dalla vittoria di Carlo Martello a Poitiers, Pisa decide tentare
un’incredibile prova di forza. Assieme ad altre città toscane e lombarde, mette
insieme una grande flotta e, con il beneplacito del Papa, si spinge fino alla
costa Berbera, nei pressi dell’attuale Mahadia (la Città d’Africa presa, sette
secoli dopo, da Astorre Baglioni). I soldati italiani, tra lo stupore degli
Arabi, irrompono in città. Lo scontro è violentissimo e i morti si contano a
migliaia. Probabilmente, alla fine sono gli Arabi ad avere la meglio,
costringendo i Pisani a ritirarsi, ma l’impresa, dal punto di vista del morale,
è riuscita. Ora gli Arabi sanno che Pisa può colpirli in casa loro, e che ci
sono altre città costiere italiane (la già citata Amalfi su tutte) che possono
mettere a dura prova le loro difese.
Ciononostante, le forze arabe acquisiscono un controllo sempre più
consistente sul Tirreno. La stessa città di Roma, che nelle cronache islamiche
del tempo è rappresentata come un deposito di immensi tesori, subisce un grave
saccheggio nell’846, e si salva solo grazie all’imponenza delle Mura Aureliane
(fatto, questo, che convinse Papa Leone a costruire le Mura Leonine). Luni, a
poca distanza da Pisa, viene completamente rasa al suolo dai pirati saraceni
nell’849, e neanche la vittoriosa Battaglia di Ostia, dello stesso anno, spinge
i nuovi padroni del Mediterraneo a desistere.
I
mari della Sardegna, specie dopo la progressiva e
sanguinosa conquista della Sicilia da parte degli Arabi (Rometta, l’ultima
roccaforte bizantina, riuscì a resistere fino al 965, a 140 anni di distanza
dallo sbarco dei primi soldati saraceni), rimangono estremamente pericolosi.
Pisa, che inizia ad avere propri quartieri in diverse città che si affacciano
sul Mediterraneo, corre il rischio, assieme alla nascente potenza genovese, di
trovarsi un nemico agguerrito a poche miglia di distanza.
Tra le città del Califfato di Cordova, Denia, sulla costa a ovest delle
Baleari, è tra quelle dotate di una buona flotta. Il controllo della rotta
delle Isole, che unisce geograficamente le Baleari stesse, la Corsica e la
Sardegna, è considerato importantissimo anche dagli Arabi. Nonostante, e forse,
anzi, proprio a causa del progressivo crollo delle istituzioni califfali
all’inizio dell’XI secolo, un politico e militare arabo, conosciuto nelle
cronache italiane come Musetto, accarezza il sogno di conquistare e governare
l’intera rotta delle isole. Musetto, di origine slava (forse catturato da
bambino), governa Denia fin dalla morte del suo capo Almanzor. In Storia dei
Tre Celebri Popoli Marittimi Dell’Italia, Veneziani, Genovesi e Pisani. Volume
II (1818), Giovanni Battista Fanucci spiega la situazione in modo che oggi
definiremmo “politicamente scorretto”: “Di quei Mori Musatto ne era il re e il
condottiero, arabo potente in Affrica, già fatto padrone delle isole Baleari e
di Denia sulla costa della Spagna presso Valenzia, da dove traeva e ciurme da
navi, e popolaccio saraceno dato alle piraterie.”
Lo stato di guerra civile che travolge la Spagna islamica all’inizio
dell’XI secolo produce anche un gran numero di fazioni sconfitte, sfollati e
predoni. Giustamente, il Martini si chiede quanti di questi soggetti abbiano
deciso di imbarcarsi sulla flotta di Musetto. La data dell’invasione non è
affatto chiara, ma sembra che il primo sbarco di massa sia avvenuto nell’anno
1000. Musetto, stando ad alcune fonti, ha un centinaio di navi e diecimila
uomini, anche se dimezzare i numeri sembra (in questo e in altri casi) un
esercizio proficuo ai fini di una corretta ricostruzione.
I Sardi si difendono da soli. Subiscono gravi perdite, ma riescono a
infliggere alcune sconfitte ai Saraceni. I Giudici Bosone d’Arborea e Comita di
Torres rispondono colpo su colpo per mesi, e in un’occasione è la figlia di
Comita, Verina (il cui marito è stato appena ucciso dagli Arabi), a spronare i
suoi all’attacco. I Saraceni contano duemila morti e, alla fine, battono in
ritirata. L’unico problema di questa ricostruzione
Musetto però è un uomo orgoglioso e un condottiero tenace. Nel 1002 si
porta nuovamente in Sardegna, e questa volta riesce a conquistarne buona parte.
La Barbagia, che, con un eccesso di semplificazione, possiamo definire la zona
della Sardegna centro-orientale che converge verso il massiccio del
Gennargentu, diventa il rifugio di Giudici e Vescovi. Una zona impervia,
inespugnabile, dove la popolazione autoctona sarda ha resistito ai Cartaginesi,
ai Romani, ai Vandali e ai Greci. Ancora nell’XI secolo, probabilmente,
sopravvivono lì sacche di paganesimo sfuggite all’opera evangelizzatrice degli
inviati di Gregorio Magno e dell’Imperatore d’Oriente.
Con la Sardegna e la Corsica praticamente in mano alle masnade di
Musetto, a temere per la sopravvivenza della costa tirrenica della penisola è
anche il Papa, che, nel 1003, chiede ai Pisani di intervenire. A Pisa,
ovviamente, la Sardegna interessa molto. Oltre alle risorse naturali, l’isola
sarebbe una barriera naturale alle incursioni saracene. Il rapporto geografico
tra Pisa e Sardegna è, tra l’altro, molto simile a quello che intercorre tra
Genova e la Corsica.
Tornando al 1003, i Pisani sono restii ad intervenire in modo decisivo in
Sardegna, come chiesto dal Papa, per due ragioni principali: (i) le posizioni
occupate da Musetto in Sardegna sono molto più solide di quelle corse; (ii) la
città di Lucca, rivale di Pisa, è una minaccia troppo concreta per pensare di
impiegare molti soldati in mare. Ad ogni modo, uno dei consoli pisani, Filippo
Visconti, incendia gli animi dei suoi concittadini e li convince all’azione. La
flotta pisana, guidata dall’ammiraglio Orlandi, intercetta la flotta araba a
circa dieci miglia dal porto di Civitavecchia. Pur essendo in minoranza
numerica, i Pisani riportano una grande vittoria, impadronendosi di diciotto
vascelli nemici e facendo centinaia di prigionieri. E’ un momento di pura
esaltazione, e l’Orlandi, probabilmente, pianifica di puntare dritto verso la
Sardegna, ma le forze pisane sono costrette a tornare verso la città per
respingere (con successo) un’incursione di Lucca.
L’attacco alle basi sarde di Musetto è solo rimandato. Nel 1004, la
flotta di Pisa sbarca a S.Lucia e saccheggia le proprietà arabe, poi si dirige
a razziare Olbia. Musetto però non è uno sprovveduto, e fa convergere forze di
terra e di mare da Cagliari per circondare i Pisani. Questi ultimi riescono
però a imbarcarsi e a tornare sull’altra sponda del Tirreno, rientrando in
città carichi di bottino.
pisa e gli arabi
Gli Arabi sono pienamente consapevoli del pericolo che corrono. Le loro
basi sono sì abbastanza stabili, ma controllano solo una piccola parte del
territorio sardo e, soprattutto, devono fare i conti con la profonda ostilità
della popolazione. A quanto sembra, alle bande di Muscetto si aggiungono pochi
altri contingenti da Spagna, Baleari e Nordafrica. Le taifas, gli stati sorti
in Spagna dopo la caduta del califfato, sono in guerra costante tra loro (cosa
che agevolò la Reconquista), mentre gli Arabi e i Berberi nordafricani non sono
particolarmente amichevoli nei confronti dei loro cugini. Musetto ha intenzione
di rispondere al duro colpo inflittogli da Pisa con un’azione altrettanto
spericolata.
E trova il momento giusto l’anno successivo, quando i Pisani sono
impegnati con altri pirati Arabi, quelli che dalla Sicilia, sotto il loro
controllo, infestano le acque calabresi dopo aver preso proprio Reggio
Calabria. Pisa, la potenza tirrenica in ascesa, espugna proprio Reggio e
massacra tutti i Saraceni con grande giubilo della popolazione locale, ma la
voglia di rivalsa e la fame di bottino dell’ammiraglio Pandolfo Capronesi e dei
suoi uomini porta le navi pisane a trattenersi oltre il dovuto nelle acque del
sud. I Pisani liberano Amantea, Tropea e Nicotera, roccaforti arabe in
Calabria, e tornano indietro con un ricco bottino. Quando approdano però, il 6
Agosto, invece di essere accolti dalla
popolazione in festa, si trovano davanti uno spettacolo terribile. Parte della
città è stata devastata da un’incursione di Musetto, che ha razziato e
incendiato.
Il comandante arabo non è riuscito a portare a termine il suo proposito
di distruggere la città solo grazie all’intervento di una donna avvolta nel
mito, quella che Paolo Tronci, nei suoi Annali di Pisa (1829) chiama “Chinsica
Sismondi o Gismondi”. Chinsica, chiamata anche Kinzica, sentendo urlare “al
fuoco, al fuoco” corre dai governanti di Pisa e fa suonare le campane. Uomini,
donne e anziani scendono in strada e si uniscono ai soldati rimasti in città. A
questo punto, gli Arabi desistono e tornano in tutta fretta alle navi, facendo
rotta verso la Sardegna.
Sull’effettiva data di questo saccheggio e dell’intervento di Chinsica si
è molto dibattuto. Alcuni storici reputano che l’episodio debba essere spostato
al 1016, nel corso di un’altra scorreria araba, ma, allo stato attuale della
ricerca, è difficile optare per l’una o l’altra data. In questo articolo, ho
preferito seguire la linea cronologica degli Annali Pisani. Si è dibattuto
anche sul nome di Chinsica/Kinizica, per lungo tempo (e infondatamente)
considerato di origine araba soprattutto in ragione del fatto che, a Pisa,
erano presenti mercanti mediorientali e nordafricani.
In realtà, però, la presenza di stranieri è attestata dall’XI-XII secolo
e sia il cognome (Sismondi/Gismondi) sia il nome stesso, derivante dal
longobardo Kinzic, lasciano presupporre proprio un’origine germanica. L’opera
di Maria Giovanna Arcamone (in Chinzica : Toponimo Pisano di origine
Longobarda, in Bollettino storico pisano, Bd. 47 (1978) e dell’archeologa
Simona Betti rappresentano sono,in questo senso, assolutamente convincenti.
Nel 1005 dunque, diventa chiaro che Pisa e lo “stato” di Musetto in
Sardegna non potranno coesistere. In pochi anni, le forze italiane e quelle
arabe si scontreranno ancora, stavolta con esito definitivo, ma questa è
un’altra storia. A partire dal 1006, a detta del Tronci, “Pisa rinacque più
bella dalle sue rovine, ed allettò fin dai primi momenti la speranza e il
desiderio di rifarsi sui Saraceni delle perdite sofferte, e di lavarne l’onta
nel loro sangue.”
[seconda parte :Storia di Pisa : La Querra contro gli Arabi in Sardegna (1005-1022), nella categoria: articoli in italiano,Ιταλία.
Bibliografia
1.BERTOLOTTI, Davide. Gli Arabi in Italia. 1838 (pgg 90-119)
2.TRONCI, Paolo. Annali Pisani. 1829 (pgg 142-172)
3.FANUCCI, Giovanni B. Storia Dei
Tre Celebri Popoli Marittimi Dell’Italia, Veneziani, Genovesi E Pisani.Volume
I, 1818. (pgg.87)
4. FANUCCI, Giovanni B. Storia Dei
Tre Celebri Popoli Marittimi Dell’Italia, Veneziani, Genovesi E Pisani.Volume
II, 1818. (pgg 30 on)
5.
MARTINI, Pietro. Storia delle Invasioni Degli Arabi e
Delle Piraterie Dei Barbareschi in Sardegna, 1861 (pag. 160)*
*Il Martini, pur avendo scritto
un’opera straordinaria, ha usato tra le sue (numerose) fonti anche le famose
Carte di Arborea, una serie di falsi del 1845 condannati anche dal Mommsen in
persona.
http://pirforosellin.blogspot.gr/
- Επιτρέπεται η αναδημοσίευση του περιεχομένου της ιστοσελίδας εφόσον αναφέρεται ευκρινώς η πηγή του και υπάρχει ενεργός σύνδεσμος(link ). Νόμος 2121/1993 και κανόνες Διεθνούς Δικαίου που ισχύουν στην Ελλάδα.
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