Παρασκευή 24 Ιουλίου 2020

L’Epoca d’Oro della Sicilia Musulmana: Un Falso Storico [parte 4o] / Η χρυσή ιστορική εποχή της Μουσουλμανικής Σικελίας, Ένα ιστορικό ψέμμα [μέρος 4ο]



L’Epoca d’Oro della Sicilia Musulmana: Un Falso Storico [parte  4ο] - Η χρυσή ιστορική εποχή της Μουσουλμανικής Σικελίας, Ένα ιστορικό ψέμμα [μέρος 4ο]

3) Proibizioni Religiose
  Costruire nuove chiese o monasteri (sulla restaurazione di quelle più antiche, solitamente vietata, sembra che i siciliani avessero un’esenzione);
    suonare le campane;
    leggere il vangelo a voce alta (non potevano esserci canti o processioni);
    portare croci in pubblico;
    parlare di Gesù Cristo con i Musulmani;
    fare proseliti.
Per un laico come me o per Amari potrebbero sembrare restrizioni di poco conto, ma in realtà considerarle in questo modo vuol dire non riuscire a immedesimarsi nella dimensione collettiva della spiritualità altomedievale. Certo, le chiese rimasero aperte e si poteva pregare in modo sommesso anche in casa, ma doveva essere ben chiaro chi fosse il padrone (musulmano) e chi il sottomesso (cristiano).
Come al solito, le esigenze di stringatezza del web mi costringono a un lavoro di sintesi disumano, in cui si rischia di perdere la c.d. bigger picture, per cui sono costretto a cambiare (parzialmente) argomento e dedicarmi al secondo punto più battuto da una certa storiografia, quello della presunta “rivoluzione scientifica” (agricoltura, astronomia, medicina, arte, ecc.) portata dagli Arabi.
Si tratta del mito che più di ogni altro ha influenzato la storiografia e, più in generale, qualsiasi lavoro dedicato alla Sicilia Musulmana. Mi riferisco, ovviamente, al presunto fiorire di scienza, poesia e arti per tutto il periodo della dominazione araba della Sicilia.
Amari si occupa di questi argomenti nel capitolo XIII del II volume. Già dopo poche righe, il suo risentimento verso il cristianesimo esce fuori in tutta la sua forza, quando parla dei musulmani dopo la conquista normanna.
amari volume giogo cristiano
Il paragrafo dedicato all’agricoltura, il meno letto e più citato della sua opera, si apre allo stesso modo. Amari si rifiuta di ritenere che gli Arabi, per lui agricoltori migliori di Romani e Bizantini, avessero potuto iniziare a disboscare la Sicilia. La sua è una semplice supposizione, giustificata così:
Secondo Amari gli sciocchi sono, senza paura di smentita, i Romani.
A ogni modo, la coltivazione degli ulivi, già diminuita durante il periodo romano, cessò quasi del tutto sotto gli Arabi; i vigneti si ridussero in maniera significativa. Entrambi i fatti sono confermati dall’importazione, nella Sicilia araba, di olive dall’Africa e di vino dal regno di Napoli.
Di sicuro, gli arabi iniziarono la coltivazione degli agrumi, della canna da zucchero e introdussero il baco da seta. Questi aiutarono il commercio isolano, ma è importante sottolineare come la Sicilia fosse già ricca di risorse e di porti commerciali. Crocevia e snodo fondamentale del commercio marittimo, la Sicilia aveva mantenuto l’eredità greco-romana in tutta la sua forza originaria, anche perché non fu mai occupata dalle popolazioni c.d. barbare.
Amari cita anche Ibn al-Awwam, agronomo andaluso del XII secolo, e il suo enorme compendio sull’agricoltura, come esempio del grande contributo data a quest’ultima dagli Arabi, senza menzionare che egli non fece altro che mettere insieme diverse citazioni dai Geoponica di Cassianus Bassus e di fonti arabe che riportavano materiale più antico.
La questione relativa all’agricoltura araba in Sicilia è solo un piccolo tassello della “Rivoluzione Agricola Araba”. Facciamo un passo indietro, anzi, in avanti. Nel 1974 viene pubblicato un articolo di  Andrew Watson in cui quest’ultimo conia il termine “Arab Agricultural Revolution“. Le sue conclusioni sono del tutto strampalate, ma sono gli anni’70, la Guerra dello Yom Kippur è appena passata: elaborare una superiorità storica dell’Islam sui capitalisti occidentali (USA e Israele) sembra una buona idea. Professori delle scuole superiori e universitari di tutta Europa lo incensano, in un grottesco sfoggio di parzialità intellettuale, scordandosi all’istante delle capacità agricole greco-romane.
A nulla, ripeto: a nulla, valgono le pubblicazioni accademiche successive. Il sistema agricolo creato dagli arabi diventa parte integrante di quell’universo fantasy che è ormai diventato l’alto medioevo. Per evitare ragionamenti astratti, prendiamo ad esempio la questione dei sistemi d’irrigazione. Con l’avvento della storiografia anticlericale ottocentesca, la creazione del sistema di irrigazione agricola della Spagna orientale viene spostata in avanti di qualche secolo, dal periodo romano a quello arabo. Ancora oggi, sette o otto accademici su dieci metterebbero la mano sul fuoco su questa conclusione. E perderebbero la mano.
Eppure, oltre a decine di altri testi più risalenti, basterebbe consultare Irrigation Agrosystems in Eastern Spain: Roman or Islamic Origins? di W. Butzer e altri; Annals of the Association of American Geographers, Vol. 75, No. 4 (Dec., 1985), pp. 479-509. Questo testo mostra in modo inequivocabile l’origine romana dei tanto osannati sistemi d’irrigazione arabi. Molti di voi non lo leggeranno, quindi eccovi qui sotto l’abstract:
Irrigation Agrosystems in
Per approfondire la questione della c.d. Rivoluzione Agricola Araba, leggi QUESTO ARTICOLO.
Per quanto riguarda l’allevamento, alcuni propagatori del mito della Sicilia Musulmana hanno interpretato le parole di Amari in modo del tutto errato. Cavalli, muli, bovini, ovini erano già ampiamente diffusi, e gli apicoltori continuarono a lavorare senza soluzione di continuità per tutto il periodo bizantino.
Sul commercio, l’Amari fa un’affermazione interessante:
In pratica, egli premette che per il commercio ci sono pochi documenti e di questo incolpa scrittori e problemi di archiviazione (mentre quando parla di documenti romano-bizantini, non fa lo stesso ragionamento). Il commercio con le coste nordafricane rimase stabile e consistente per tutta l’epoca romana e bizantina (forse ci fu un abbassamento fisiologico durante il dominio vandalo).
La cesura avvenne solo quando la costa nordafricana cadde in mano islamica e vi fu ripresa solo quando gli arabi si stabilirono anche in Sicilia. Dare il merito delle capacità commerciali siciliane a chi le aveva, inizialmente, compresse, è una forzatura storica che fa il paio con quella della salvaguardia della cultura greca (che gli arabi assimilarono parzialmente dopo aver distrutto la parte orientale dell’Impero Romano).
L’amore smodato di Amari per lo splendore della Sicilia Musulmana emerge a chiare lettere anche in un passo successivo:
Arti, lusso, cultura, genio… La creazione di questa dicotomia fra Mondo Romano-Germanico Decadente e Mondo Arabo Islamico Ricco e Acculturato, di cui ci siamo trascinati le false vestigia fino ad oggi, è completata in questo passo. L’Amari, come molti altri storici passati e presenti, ha una concezione distorta del passaggio dal Mondo Romano a quello Arabo, dall’Evo Antico al Medioevo.
Sembra quasi che, deposto Romolo Augustolo, decine di milioni di cittadini romani abbiano calato il mantello a ruota sulle spalle, si siano chiusi in un castello e abbiano iniziato a bruciare le streghe. E che a rompere questo buio senza speranza, scacciato solo dopo un migliaio di anni con il Rinascimento, ci siano state solo la scienza e la cultura araba. Questa è, come spero di aver dimostrato negli ultimi articoli, una falsità.
E tuttavia, l’Amari continua. E ci spiega come la prosa e, soprattutto, la poesia araba vincano a mani basse (“senza contrasto”) nel confronto con quelle partorite dalla cultura greco-romana.
Per quanto riguarda le scienze antiche, ossia quelle che gli arabi preservarono parzialmente dopo aver annientato l’Impero Romano d’Oriente e quello Sasanide, sappiamo che un manipoli d’intellettuali le coltivò nei territori islamici, ma per quanto riguarda la Sicilia Musulmana non ci sono molte testimonianze. Su questo argomento, Amari è più onesto e sottolinea come a mantenersi costanti fu lo studio delle “scienze coraniche“, rinvigorite dalla metafisica e dalla dialettica occidentale, mentre le scienze antiche ebbero un brevissimo periodo di splendore, durato circa centocinquant’anni, fra IX e X secolo.
Che alcuni matematici, medici  e astronomi operarono in Sicilia è fuori di dubbio, ma una certa storiografia continua a far apparire gli arabi di Sicilia come una schiatta di scienziati impegnati tutto il giorno a redigere mappe, fare esperimenti e costruire meraviglie architettoniche. E, lo ripeto, si tratta di una falsità.
D’altronde è lo stesso Amari a lasciarsi sfuggire che filosofi e scienziati (spesso persiani o di origine ebraico/cristiana) venivano osteggiati anche nel c.d. Periodo d’Oro. D’altronde, lasciando per un attimo la Sicilia, sappiamo che Muhammad ibn Zakariyā Rāzī (865 – 925 AD), scienziato persiano, si esprimeva in questo modo sull’islam:
  Se ai musulmani viene chiesto di provare la validità della loro religione, loro si accendono, perdono il senno e versano il sangue di chiunque provi a confrontarsi con loro sulla questione. I Musulmani proibiscono la speculazione razionale e cercano di ammazzare i loro avversari. E’ per questo motivo che la verità è stata completamente messa a tacere e nascosta.
Razi fu un fisico e chimico eccezionale, definito da George Sarton come “il più grande fisico islamico e medievale”. Guardacaso, fu aspramente criticato dai suoi colleghi, soprattutto per la sua posizione sull’Islam e su Maometto. Secondo molti era vicino al Manicheismo e alla cultura greco-romana, persiana e indiana.
In molti citano Muhammad al-Idrisi come esempio delle avanzate capacità topografiche e geografiche degli arabi siciliani, ma spesso omettono un particolare: al-Idrisi non era originario della Sicilia, fu Ruggero II a invitarlo a corte per ottenere i suoi servigi. Viaggiatore espertissimo e ottimo cartografo, al-Idrisi redasse, nel 1154 (a 54 anni circa) la famosa Tabula Rogeriana.
Quanto alla medicina arabo-Siciliana, Amari ammette che non ci sono arrivate notizie di molti medici di fama, e, quasi dispiaciuto, inverte l’onere della prova sostenendo che, anche se non abbiamo testimonianze di medici siciliani, ciò non vuol dire che non ci siano stati.
Tornando alla Sicilia, è necessario sottolineare ancora un aspetto già menzionato: quando parliamo di scienze islamiche, in massima parte parliamo di lavori relativi alla lettura, esegesi, narrazione e storia del Corano o delle tradizioni sulla vita del Profeta. E qui Amari, involontariamente, lo dimostra in modo chiaro quando dedica sette pagine (pgg. 464-471 del II volume di Storia dei Musulmani di Sicilia) a matematica, astronomia e medicina araba e più di settanta a scienze coraniche, grammatica, giurisprudenza (islamica) e poesia (pgg. 472-545 dello stesso volume).
Il lavoro sull’opera di Amari e sulla Sicilia Islamica continuerà con l’aggiunta di un’ultimo paragrafo a questo articolo, in cui mostrerò come i siciliani non accettarono mai la dominazione araba.
Sarà anche l’occasione per comprendere cosa spinse i primi a cancellare l’islam e ogni sua manifestazione dall’isola nel giro di pochi decenni.
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