La Battaglia di Avarayr
(451)[Armenia] - The Battle of Avarayr (451) Armenia - Η μάχη του Avarayr (451) Αρμενία
La Battaglia di Avarayr, per quanto
distante nel tempo, rappresenta la summa della vis pugnandi armena.
Troppo spesso gli studiosi
occidentali del tardo antico dimenticano i grandi avvenimenti accaduti al di
fuori dei confini romani. Non parlo del grande Impero Cinese, nè del periodo
Kofun giapponese, ma di personaggi e battaglie molto più vicini a noi. Parlo
del’Impero Sasanide, l’unico nemico di Roma con un esercito al suo livello, un
potere centralizzato, una struttura amministrativa complessa, e dell’Armenia,
regno autonomo, poi provincia, e ancora regno autonomo.
Prima di essere completamente
annientato dall’Islam, l’Impero Sasanide raggiunse delle dimensioni enormi ed
intrattenne rapporti con gli Imperi e le popolazioni limitrofe, divenendo un
tramite importante nei commerci occidentali con le regioni orientali.
Non tutti sanno che, un mese prima
che Ezio affrontasse gli Unni ai Campi Catalaunici, sconfiggendoli grazie
all’alleanza con alcune popolazioni germaniche, si era combattuta una battaglia
dai numeri impressionanti fra l’Impero Sasanide e la sua ultima provincia,
l’Armenia Orientale, ad una manciata di chilometri dal confine con l’Armenia
Occidentale (Armenia Minore), divenuta parte dell’Impero Romano.
Ai Campi Catalaunici le stime più
ottimistiche parlano di 50.000 combattenti per parte, mentre alla Battaglia di
Avarayr presero parte, forse, 150.000 uomini complessivi (alcuni parlano di
200.000 guerrieri, altri di 360.000, ma sono stime inverosimili).
L’Armenia aveva alle spalle una
lunga storia come stato indipendente e come protettorato romano. In sostanza,
solo Traiano l’aveva ridotta a una vera e propria provincia (per pochi anni).
La posizione degli Armeni era poi complicata dal punto di vista geografico e
politico, visto che si trovavano schiacciati fra due grandi imperi, ma
riuscirono quasi sempre a ritagliarsi uno spazio con il loro stato
“cuscinetto”.
2.
Cenni storici
Nel III secolo a.C., l’Armenia era
uno stato mediorientale solido e indipendente. Il suo unico vero problema era
rappresentato dalla posizione geografica: a est l’Impero persiano, a ovest la
Repubblica Romana, sempre più potente ed interessata ad estendere la propria
egemonia alla parte orientale del mediterraneo. L’Armenia non cedette.
Massima espansione del Regno Armeno
Massima espansione del Regno Armeno
(sotto Tigrane il Grande, I sec. a.C.)
Fu sconfitta pesantemente dai Romani
nella Battaglia di Tigranocerta (69 a.C.), ma il grande sovrano Tigrane
continuò a regnare come alleato di Roma fino alla sua morte, nel 55 a.C.
L’Armenia rimase a lungo nell’orbita dell’impero romano, ora come vassallo, ora
come alleato, ma mantenne sempre la sua unicità.
Fu addirittura il primo stato a
dichiarare il Cristianesimo religione ufficiale, nel 301, dodici anni prima
dell’Editto di Costantino e quasi un secolo prima di quello dei Teodosio.
Fra l’adozione del cristianesimo e
la fine della dinastia Arsacide passarono quasi centotrenta anni (301-428),
durante i quali il cristianesimo divenne l’ importante collante sociale di un
popolo geloso della propria indipendenza e unicità.
Proprio nel 428 i nobili locali
(nakharars) rovesciando la dinastia Arsacide dopo quattro secoli di regno,
consegnarono il paese ai Sasanidi.
avarayr
Confini territoriali armeni nel IV
secolo
3.
Le origini del conflitto
Yazdegert II aveva intenzione di
estendere lo zoroastrismo all’Armenia, tanto che convocò a Ctesifonte i più
importanti nobili locali per convincerli a tagliare i legami con le chiese
occidentali. Non ebbe gran successo, e il Gran Vizir Mihr-Narseh fu costretto
ad emanare un editto con il quale, in sostanza, dava un ultimatum alla nobiltà
armena: zoroastrismo o persecuzione.
I nobili, sia quelli della fazione
filo-romana che quelli della fazione filo-sasanide, si riunirono in assemblea
presso Artashat nel 449. Alla riunione presero parte anche diversi vescovi e
altri personaggi di rilievo. Ne uscì un
rifiuto netto, unanime, dello zoroastrismo.
Yazdegert II andò su tutte le furie.
Non poteva sopportare un simile rifiuto. L’Armenia era sue e doveva sottostare
alle sue decisioni, al suo Dio. Chiamò i nobili armeni a Ctesifonte per la
seconda volta, giurando che avrebbe distrutto le loro case e ammazzato i loro
figli se non si fossero inginocchiati ad adorare il sole nascente assieme a
lui. I nobili lo assecondarono e furono rispediti in Armenia con 700 Magi (i
sacerdoti di Zoroastro) per procedere alla conversione dell’intero popolo armeno.
Una pessima, pessima idea.
I Magi tentarono di sovvertire le
usanze di un popolo già civilizzato senza preoccuparsi delle conseguenze. Ai
preti cristiani fu proibito l’insegnamento, fu abolito il matrimonio in favore
della poligamia, furono eliminate le limitazioni ai rapporti fra consanguinei
(venne ampiamente permesso il matrimonio fra padre e figlia o fra nonno e
nipote), fu addirittura introdotta la pratica di lavarsi le mani con il piscio
di vacca per evitare la “contaminazione” dell’acqua.
Il primo segno di rivolta fu guidato
da un prete, Ghevond, che si mise alla testa degli abitanti del suo villaggio,
armati di bastoni e forconi, e mise in fuga diversi Magi.
Ma ormai tutto il popolo armeno era
in subbuglio. Tutti vedevano in Vartan, Sparapet dal 432 e nobile della casa
dei Mamikonian, il leader militare da seguire. Era infatti tradizione che il
generale supremo degli armeni provenisse da quella casata, ma non solo, Vartan
era anche un filo-romano, insofferente ai soprusi dei sasanidi.
Moneta
d’argento di Yazdegert II
L’esercito armeno fu diviso in tre
armate. La prima, guidata da Nershapuh, fu inviata a coprire il confine a nord;
la seconda, quella di Vassak (capo della fazione filo-sasanide), rimase stabile
nel Sewniq, la provincia montuosa al confine con l’Impero Sasanide; la terza,
capitanata da Vartan, fu schierata a difendere l’Albania caucasica.
Nessun aiuto dai Romani. Impossibile
per l’Imperatore privarsi di migliaia di soldati con Attila che imperversava
fra due metà dell’Impero. Gli Armeni dovevano vedersela da soli.
Inizialmente gli Armeni ottennero
diversi successi militari. Nulla di eclatante, ma servirono a dar loro morale.
D’altro canto, lo stesso morale acquistato negli scontri di frontiere crollò a
pezzi quando Vassak decise di schierarsi con i Sasanidi. Vartan tornò
immediatamente nel Sewniq con il suo esercito, sconfisse i contingenti
sasanidi, ma non riuscì a raggiungere Vassak, che si era rifugiato in una
impenetrabile fortificazione del Sewniq. Ormai era inverno, e nessun esercito
poteva combattere con la neve fino alle ginocchia.
Vartan congedò le truppe (forse fino
alla primavera) e al tempo stesso cercò
una mediazione con Yazdegert II. Questi era appena tornato da una spedizione
fallimentare nel Kushan, quindi accettò l’obbedienza politica degli armeni in
cambio delle libertà religiosa. In realtà l’Imperatore Sasanide stava solo
prendendo tempo, visto che la sua armata, guidata dal del Gran Vizir
Mihr-Narseh, attraversò il fiume Arax solo pochi mesi dopo, nella primavera del
451.
L’esercito di Vartan fu costretto a
percorrere 120 miglia in 5 giorni per raggiungere il nemico.
4.
La battaglia
Vartan era riuscito a mettere
insieme un contingente importante. Circa 66.000 tra fanti e cavalieri, compresi
parecchi volontari civili. La spina dorsale dell’esercito era formata dalla
cavalleria leggere e da quella pesante (armata come i clibenarii), ma le
cronache riportano anche un gran numero di arcieri e lancieri. Una forza in
grado di reggere il campo con qualsiasi esercito occidentale, ma forse non
abbastanza grande da respingere il mostruoso esercito sasanide.
Yazdegert e Mihr-Narseh infatti
avevano messo insieme un’armata capace di far impallidire quella di Serse. Elefanti da guerra con torrette per gli arcieri,
cavalleria Savaran, arcieri a cavallo, fanteria pesante, addirittura un
contingente unno, per non contare i 30-40.000 armeni di Vassak, pronti a
combattere contro i propri fratelli. In tutto quasi 100.000 uomini (ovviamente
300.000 per le fonti armene).
Il
26 maggio 451 i due schieramenti erano divisi dal fiume Tghmout. A prescindere dall’epilogo di quella giornata, la storia dell’Armenia
sarebbe cambiata drasticamente. Vartan lo sapeva, quindi pronunciò un discorso
adrenalinico sull’obbligo di difendere la loro terra e la loro fede, che si
concluse con queste parole:
Chi credeva che il Cristianesimo fosse per noi un abito, ora saprà che
non potrà togliercelo, come il colore della nostra pelle.
Nel frattempo, i sacerdoti (sembra
fossero diverse centinaia) distribuivano l’Eucarestia e le benedizioni.
La
battaglia di Avarayr
La cavalleria armena attraversò il
fiume con una prima carica, creando scompiglio nell’ala destra del nemico,
formata dalla cavalleria “ausiliaria”. Le linee arretrate dei sasanidi però si
riorganizzarono, e alla fine riuscirono a far ripiegare l’ala sinistra armena.
Nel frattempo, gli armeni erano riusciti a mettere in difficoltà tutto il
fronte d’attacco sasanide. Vartan stesso, vedendo la ritirata dell’ala
sinistra, decise di prestarle soccorso. Riuscì a sfondare, ritrovandosi
all’interno delle linee nemiche. Una scelta avventata la sua. Sfondare le linee
nemiche solo per ritrovarsi davanti una tenaglia di avversari non può certo
definirsi una strategia sensata. Ed infatti Vartan trovò ad attenderlo la
morte. Un vero e proprio martirio che lo vide combattere fino all’ultimo.
Caduto il loro generale, gli Armeni si videro persi. Le fonti ci dicono e si
ritirarono nei castelli e nelle fortificazioni montane.
In effetti il numero dei caduti sul
campo sembrerebbe supportare una cessazione quasi improvvisa della battaglia e
la mancanza di una ritirata scomposta (è in quel momento che si facevano la
maggior parte delle uccisioni). In tutto morirono circa 3.500 persiani e poco
più di mille armeni. 1036 martiri. Vartan divenne San Vartan, uno dei tanti
santi degli albori con pochi testi sacri e tanto acciaio per le mani.
5.
Conseguenze
Pur uscendo vittorioso dalla
battaglia, Yazdegert comprese che gli Armeni avrebbero provocato tanti e tali
problemi alle sue forze militari da costringerlo a continue (costosissime)
battaglie. La concessione della libertà di culto, che molti autori considerano
una conseguenza diretta della battaglia di Avarayr, venne concessa solo 33 anni
dopo. Ne consegue che per tre decenni di guerriglia fra filosasanidi, con
Vassak in testa, e nazionalisti, guidati da Vahan (nipote di Vartan),
continuarono a scuotere il paese. Solo nel 481, sfruttando i continui conflitti
che doveva affrontare il sovrano sasanide Peroz I, Vahan riuscì ad organizzare
una vera e propria rivolta contro i Magi.
Miniatura battaglia
Così, nel 484, Vahan Maminokian e
Peroz I (che morì di lì a poco) firmarono il Trattato di Nvarsak, con il quale
gli armeni conquistarono definitivamente la libertà di professare il cristianesimo.
Gli Armeni continuarono a lungo la
loro lotta per l’indipendenza, ottenendola e riprendendola a più riprese fino
alla definitiva conquista musulmana. Furono proprio gli Ottomani, nel momento
del crollo definitivo del loro impero (I guerra mondiale) a dare il colpo più
pesante a questo popolo di ruvidi lottatori. Uno dei genocidi più terrificati
di sempre. Uno dei più silenziosi. Ma questa è un’altra storia…
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στην Ελλάδα. [3220-31]
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