Impero Ottomano e Persia:
la Relazione di
Andrea Navagero del
1574/ Ottoman Empire and Persia: The story of Andrea Navatzero of 1574 / Οθωμανική
αυτοκρατορία και Περσία : Η διήγηση του Αντρέα Ναβατζέρο του 1574
Impero Ottomano e Persia, due realtà
istituzionali differenti e religiose in perenne conflitto. Per comprendere le
ragioni di questa (sanguinosa) rivalità, può essere molto utile leggere i
rapporti dei diplomatici europei presenti presso le corti orientali. In
particolare, sono osservatori privilegiati i consoli veneziani, uomini abituati
agli intrighi, alle cospirazioni e a valutare i fatti dietro le apparenze. Nel
volume Relazioni dei consoli veneti nella Siria, compilato da Guglielmo Berchet
nel 1866, sono presenti diverse relazioni; tra le altre, ho trovato
particolarmente interessante quella di Andrea Navagero, console tra il 1574 e
il 1578.
In quel periodo, la Siria è nelle mani dell’Impero Ottomano, governato
prima da Selim II (fino alla sua morte, alla fine del 1574) e poi dal figlio
Murad III. La madre di quest’ultimo è, tra l’altro, una veneziana: Cecilia
Baffo (Nûr Bânû). Figlia del nobile veneziano Niccolò Venier e di Violante
Baffo, viene rapita dal Barbarossa appena dodicenne e finisce nell’Harem di
Selim II, dove diventa la sua favorita. Gli darà cinque figli, tra cui Murad
III.
Tra Venezia e Costantinopoli i rapporti sono discreti. Nonostante siano
passati solo tre anni dai massacri operati dai Turchi a Cipro e dalla Battaglia
di Lepanto, il trattato di pace firmato dalle due potenze nel 1573 sembra
essere abbastanza solido (durerà, in effetti, fino all’inizio della Guerra di
Candia nel 1645). Pur continuando a intrattenere rapporti di forte amicizia con
la Persia, tra la fine del XVI secolo e la prima metà del XVII Venezia cerca di
fare tutto il possibile per infastidire troppo gli Ottomani.
La Relazione del
Navagero
Dovendo io, Andrea Navagero, venuto
ultimamente dal consolato di Soria (Siria), per obbedire alla Serenità Vostra,
che me lo ha imposto, e per osservare quello ch’è disposto per legge, metter in
scritto quanto mi è sovvenuto riferire a bocca nell’Eccellentissimo Collegio, e
sapendo per le molte occupazioni sue ed imperfezioni mie che dovrò esporre con
rapidità, lascerò da parte tutte quelle cose ch’io non giudicherò appartenenti
al mio carico, da quelle della guerra di Persia in fuori, che per le
conseguenze che toccano so quanto siano importanti, e quanto alla Serenità
Vostra deve esser caro l’intenderle.
Io, Serenissimo Principe , secondo il consueto dei miei predecessori, ho
fatta la mia residenza nella città di Aleppo, lontana da Tripoli, dove fanno
scala le nostre navi, giornate 5 circa. Questa città è posta in bellissimo
sito, fra molte colline, in paese fertilissimo ed amenissimo, ed in
perfettissimo aere, tanto che di solito, l’estate, ognuno dorme allo scoperto
senza alcuna offesa; e della grandezza, per quanto ho potuto giudicare, della
città sua di Padova, ma senza nessun vacuo [spazio vuoto]. È popolatissima, e
dicono che contiene in essa 400 mila e più anime; è cinta semplicemente da mura
molto alte, ma senza né terrapieni né baluardi né alcun’ altra cosa che la
possa render forte. Manda ogni anno a Costantinopoli ducati quattrocentomille
[400.000] circa, oltre molti pagamenti che si fanno ai Giannizzeri ed altri
stipendiati del Signore [Sultano] abitanti in quella provincia; le genti della
quale, per quel che ho potuto veder nell’andar mio da Tripoli in Aleppo, ed
anco nel viaggio che ho fatto nell’andare a visitare i santissimi luoghi di
Gerusalemme, sono molto disutili, dappoco, e senza alcuna industria; ma con
tutto questo è così fertile ed abbondante il paese, che sebbene non è abitato
delle dieci parti le due [solo i 2/10 del paese sono abitati], produce tutte
quelle cose che sono necessarie al vivere non solo per gli abitanti, ma anche
molto più, oltrecchè produce molti cotoni, qualche quantità di sete, lane, ed
altre cose, gran parte delle quali vengono condotte in questa città.
Il Navagero riporta dati di immenso interesse. Il primo, relativo alle
dimensioni di Aleppo, mostra un contrasto tra l’effettiva estensione della
città (analoga a quella di Padova) e la popolazione complessiva (400.000
anime). Il secondo, forse ancora più interessante, riguarda l’ampiezza dei
luoghi disabitati (8/10) nel territorio oggi compreso tra la Siria
settentrionale e Israele. Da sottolineare anche la situazione di stagnazione
economico-sociale (“genti disutili, dappoco e senza alcuna industria”) in cui
versano molte province ottomane, costrette a un prelievo fiscale molto duro.
Questa stagnazione, che in parte annichilisce le particolarità locali, si
aggraverà nel corso del XVIII secolo, e permetterà alle potenze europee di
essere viste come possibili alleati nella lotta per la liberazione dal giogo
ottomano.
E quella città governata da tre principali ministri turchi: il Bascià
[Pasha] che è il capo o principalissimo, il Defterdar che ha il carico di tutte
le rendite del Signore [un vero e proprio tesoriere], e il cadì [Kadi, giudice
di un kadiluk, una suddivisione amministrativa dell’Impero Ottomano], che
amministra sommariamente la giustizia, la quale a dire il vero è per lo più
contaminata dal donativo, in modo che quelli che hanno più da spendere hanno
sempre la ragione dal loro canto, e per gran delitto che commettano corrono
poco rischio della vita, acquistandosi col danaro i testimoni prontissimamente
e con pochissimo prezzo; con tutto ciò vivono così pacificamente insieme, che
in tutto il tempo del mio consolato non sono seguiti se non due soli omicidii,
e questi anco causali piuttosto che
pensati. È ben vero, che o per le suddette ingiustizie, o per esser maltrattati
dai Turchi, o forse per antica affezione, così quelli del territorio come
quelli della città, per quello che ho potuto comprendere ed intendere da
persone degne di fede, sono delli quattro li tre affezionatissimi al re di
Persia; ma sono, come ho detto di sopra, così da poco, senz’armi, senza capo,
che io credo che se il re pur fosse in casa loro non sapriano muoversi per far
effetto alcuno.
impero ottomano
Il confine, piuttosto
fluido, tra i due imperi alla fine del XVI secolo
Il giogo turco è mal sopportato dalla popolazione siriana, tanto che i ¾
della popolazione mostrano una spiccata simpatia nei confronti del Re di
Persia. Il Navagero, dopo aver spiegato lo stato di difficoltà sociale e
intellettuale dei siriani, sottolinea anche la loro mancanza di vis pugnandi e
di armi. Non è raro trovare, nei resoconti e nella storiografia del passato
(fino al secondo dopoguerra), generalizzazioni che oggi definiremmo
“politicamente scorrette”. Senza di esse, però, avremmo avuto un’idea molto più
vaga degli stati d’animo più diffusi all’interno di un popolo.
Io, nel corso degli anni tre del mio consolato, non voglio negare di non
aver avuto varie e diverse occasioni fastidiose, ma dirò bene che con l’aiuto
del Signore Dio si sono tutte accomodate, per quelle vie, che ho giudicato
esser di maggior servizio alla mercanzia ed alla nazione della Serenità Vostra,
per servizio delle quali ho sempre procurato di conservarmi la grazia e
l’amicizia di quei principali signori ministri, e con amorevoli uffici e con
doni senza dei quali è impossibile conservarsi lungamente la loro benevolenza;
con tutto questo, e con tutto che nel mio tempo si sono mutati, e più di una
volta, la maggior parte di essi ministri, il che apporta molti interessi per li
presenti soliti ed ordinari nella loro venuta, io però non solamente non ho
ecceduto nelle spese fattesi per il passato, ma come si può vedere nei miei
conti, non vi ho a gran giunta arrivato.
Le cose della mercanzia nel tempo mio, non hanno fatto mutazione alcuna
d’importanza, senza che per questa guerra e moti di Persia le robe e mercanzie
che fanno per quei paesi, non hanno quei spacci che avevano innanzi; nè da quel
paese venne più per questa causa quella gran quantità di seta ed altre robe,
che soleva venire; e sebbene pare che nascostamente e per alcune strade nuove
sieno state ultimamente condotte alcune somme di seta, non è però che non sia
molto minor somma di prima, e che questa minor quantità non torni in molto
maleficio al negozio. Ma al parer mio niun’ altra cosa ritorna in maggior danno
a detto negozio che la concorrenza che hanno al presente i mercanti della
Serenità Vostra coi Francesi, la quale non avevano innanzi la guerra: perchè
così come quelli inanti erano pochi e con pochissimo negozio così ora invitati
dall’utile che hanno sentito nel tempo della guerra, che i nostri non
negoziavano, o che se lo facevano lo facevano sotto loro nome, sono accresciuti
ed in tanto numero e con tanta facoltà, e pagano così eccessivamente ogni sorta
di mercanzia, che invero sono di un notabilissimo danno ai nostri, e molto più
di quello che forse ognuno crede; nè a questo saprei veder altro rimedio, se
essi da se medesimi non si muovono da questo viaggio; ricevendosi, col pagar a
così eccessivi prezzi il tutto, notabilissimo danno, come non può quasi essere
altrimenti. Con tutti questi contrari si trova ancora in assai buon stato quel
negozio, e con assai buon numero di mercanti di questa nazione, a tal che non
torna nave da quelle bande per molte che ne vengano, a ogni muda; che non sia
con molto beneficio dei dazi della Serenità Vostra, se ben forse con poco
guadagno delle mercanzie.
La scala di Tripoli, per la gran quantità delle navi che capitano a
quella spiaggia, ora che non si fermano più in Cipro come facevano inanti la
guerra, è di tanta importanza, che io giudico che saria molto a, proposito che
Vostra Serenità tenesse in quel luogo un vice console di capacità, dandogli
salario, talchè esso potesse sostentar onoratamente il carico suo: poichè io
sono certo che ciò per le occorrenze che vengono alla giornata, risulterìa di
molto beneficio ai mercanti e navi della Serenità Vostra, che capitano in quel
luogo; e se debbo dire il parer mio liberamente, io crederei che stesse meglio
in quel luogo che in Aleppo la medesima persona del console e tutta la nazione
insieme, perchè, questo assicurerà la mercanzia dai pericoli che corre nel
viaggio da Aleppo in Tripoli, e liberarla dalla spesa del farla condurre, e dai
doppi dazi che ora paga, che non è di poca importanza; oltre ad altre molte
ragioni, che io per brevità trapasso, riportandomi però sempre a miglior parere
del mio.
La Battaglia di
Cialdiran del 1514
lo in questo carico di vice console
in quel luogo mi son servito per molti mesi nel fine del mio consolato della
persona del signor Regolo di Oralgia fattor pubblico in quel luogo, con molta
soddisfazione mia e con molto servizio pubblico; ondechè giudico esser debito
mio rappresentarlo come faccio a Vostra Serenità, affermandole che per questo
buon servizio e per altri prestati in altri tempi esso è veramente degno della
grazia sua.
Ora venendo alle cose di Persia le dico, che questo presente re, per
quanto sono stato, accennato fu fatto dal re morto, sebbene da principio fu
detto esser suo nipote; montato a questa dignità reale piuttosto per necessità,
non vi essendo vivi altri fratelli che lui -, che per elezione nè sua nè
d’altri, essendo esso più inclinato per natura a religione ed a vita quieta e
ritirata, che a guerra ed a governo di Stato. Ha corta vista, ma non è però
orbo del tutto come fu detto; è di anni 50 in circa, è amato dai suoi sudditi,
non tanto per qualità amabili che sieno in lui, quanto che essi per natura, e
straordinariamente amano e riveriscono il loro re (in quel momento, il sovrano
è Mohammed Khodaben, che nel 1587 abdicherà in favore del figlio Abbas I, che
passerà alla storia come lo Sha più importante della dinastia safavide: Abbas
il Grande).
Poco dopo la fine del consolato del
Navagero, tra il 1578 e il 1590, il confine persiano-ottomano vede lo svolgersi
di una lunga guerra di tra Persiani e Ottomani. La prima fase è costituita
dalla Campagna Caucasica di Lala Mustafa Pasha, conquistatore di Cipro e
carnefice di Marcantonio Bragadin e Astorre Baglioni. Mustafa Pasha muore,
ottantenne, poco dopo aver riportato una vittoria totale sui Georgiani,
appoggiati dalla Persia. Tra la Battaglia di Cialdiran e il primo ventennio del
XIX secolo, Ottomani e Persiani combattono una decina di guerre e centinaia di
battaglie sul “confine maledetto” che ha visto scontrarsi per secoli Romani e
Parti (poi Sasanidi).
Può fare si dice per l’ordinario senza molta fatica 100.000 persone, sono
molti arcieri, ha qualche archibusiero, ma manca di artiglieria; sono buoni
uomini da strada e tali che il Turco, tuttochè sia senza comparazione alcuna
superiore a loro in numero, per quel che dicono non ha mai voluto affrontarsi
con loro, senza l’aiuto della artiglieria. Non ha fortezze d’importanza nel suo
Stato , e se debbo dire ancora quello che ho inteso, non si cura di averne,
giudicando che sia la sua fortezza, quando un esercito nemico voglia penetrare
nel suo Stato, abbruciare e rovinare il tutto ritirandosi, perchè non dubita
che il nemico non abbia per necessità di vivere ad essere astretto di ritirarsi
ancora lui, con poco suo utile.
Quanto alle cose della presente guerra, oltre quello che in mie lettere
le ho scritto, mi occorre dirle una nuova rotta di molta importanza data dai
Persiani ai Turchi che nell’imbarcarmi intesi a Tripoli, ed aveva anco poco
prima inteso in Gerusalemme, sebbene essi Turchi la dissimulino e non vogliano
che sia vera, con l’aver dopo l’arrivo del nuovo cadì di quel luogo, che
partiva da Caramania, e che giunse due giorni inanti il partir mio, sparsa voce
che Turchi non solo non avevano avuta alcuna rotta, ma che si erano impadroniti
di Shirvan, cosa che si tiene esser lontana dalla verità, confermando molto
bene la suddetta rotta il travaglio e il rumore che si comprende in essi
Turchi, e l’ordine venuto al sangiacco di Gerusalemme, essendo io in quel
luogo, di montarsene immediate a cavallo e andarsene alla guerra. come io di
già l’ho veduto “uscir con i padiglioni fuori della città per mettersi in
cammino, sebbene con malissima sua soddisfazione e, di tutti quei che lo
seguivano, andando così questi come quei che vi andarono prima, malissimo
volentieri a questa guerra.
Come dimostra questa pagina del
1788, per indicare la Siria si utilizzava spesso il termine “Soria”
In proposito della quale non voglio restare di dire a Vostra Serenità che
se io non gli ho dato quei spessi e particolari avvisi, che ella forse
aspettava e desiderava in questa materia, non è di averne meraviglia , perchè
gli avvisi che vengono dai confini ove si osservano gli eserciti in Aleppo, non
vi vengono mai per messi appositi, ma vengono con le carovane; e per
qualcheduno che per accidente e non per ordinario vi viene mandato, l’uno o
l’altro dei quali, o la carovana o gli uomini, oltrecchè non vengono con
diligenza, non sono nè anco molto veridici: perchè nè i Persiani nè i Turchi
dicono mai il loro danno quando ben lo ricevono, sicchè la Serenità Vostra
difficilmente può avere da Aleppo veri avvisi e presti; crederei bene, che chi
mandasse e tenesse uomo apposta a quei confini, ed uomo che avesse giudizio e
fosse pratico del paese, potria intender con più fondamento di verità i
successi delle cose; ma essendo questa faccenda di molta importanza, e per la
spesa non piccola che apporteria e per il molto sospetto che si potria dare ai
Turchi ed altri rispetti che la Serenità Vostra può molto bene, con la prudenza
sua considerare, io non mi sarei mai mosso a farlo senza espresso ordine suo, e
tanto più che io sapeva che la strada che va da Costantinopoli a quei confini
viene battuta per l’ordinario da molti Valacchi che vanno e vengono
dall’esercito per dare quegli ordini che pare al Serenissimo Gran Signore per
portare alla Mi S. del continuo avvisi di quanto si opera.
Circa il fine che debba avere questa guerra-sono varie le opinioni ed il
giudizio degli uomini; ma i più credono che la debba andare in lungo, perché
non si possono persuadere che il re di Persia debba ceder così facilmente, ne
che il Signor Turco così facilmente debba rimuoversi e levarsi dall’impresa.
Potrei oltre queste cose di Persia dirle alcuna cosa del già regno di
Cipro così vicino alla Soria; e dirle che al presente si trova in malissimo
stato è con pochissimo numero di Turchi per sua guardia, e quei pochi rimessivi
per forza; ma convenirei entrando in questa materia, passar quel termine di
brevità che mi ho proposto; pur non voglio tacer, che se dalle nostre navi non
fosse levato da quell’isola il sale e i cotoni con lasciarvi molto oro,
crederei che dovesse restar in poco tempo poco manco che disabitata. .
Mi resta per fine di quanto ho da dire far officio con Vostra Serenità,
così ricercato, il quale tanto manco posso restar di fare, quanto. più si
tratta del servizio del Signor Iddio. Io sono stato come ho detto a visitar per
divozione, ma dopo rinunciato il mio carico, quei santissimi luoghi di
Gerusalemme, ove ho veduto che quel reverendo guardiano e padri di San
Francesco tengono quei santissimi luoghi con tanto culto ed onor del Signor
Dio, che non si potria far di più sé fossero in mezzo di questa città ovvero in
mezzo di Roma, tenendo essi con molta sua spesa e nel santissimo Presepio e nel
monte Calvario e nel Sepolcro moltissime lampade accese ad onor del nostro
Signor Iddio, e tra queste anco una nel santo Sepolcro a nome di questa Eccellentissima
Repubblica, che io ho veduto col San Marco intagliato sopra, senza aver al
presente, per quanto ne ha affermato e giurato esso reverendo guardiano, dalla
cristianità alcun sussidio, anzi con sentir alla giornata molti interessi e nel
convenir sovvenir a poveri pellegrini e in esser del continuo divorati dai
Turchi; e se non fosse le elemosine che hanno dalla nazione nostra di Soria e
di Alessandria, conveniriano abbandonare quei santissimi luoghi, lasciandoli
nelle mani degli infedeli; e però mi ha alquanto pregato che io lo raccomandi
alla Serenità Vostra di qualche pia limosina, siccome io faccio con ogni
affetto di riverenza , parendoci che niun’altra elemosina possi esser più grata
a nostro Signore Dio, che questa, con la quale si viene a procurare là
conservazione nelle mani dei cristiani di quei santissimi luoghi, ove il
Redentor nostro Gesù Cristo ha voluto nascere e morire.
Πηγή
: http://zweilawyer.com/2017/08/04/impero-ottomano-e-persia-la-relazione-di-andrea-navagero-1574/
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